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Final Destination 5

venerdì 16 dicembre 2011

Un gruppo di dipendenti di una grande azienda, la Presage (nomen omen), si imbarca su un pullman diretto a un convegno di due giorni. Sam Lawton, uno del gruppo, ha dei dubbi sul suo futuro ed è appena stato scaricato dalla fidanzata-collega Molly, anche lei sul pullman. I loro compagni sono un classico campionario di varia umanità, ciascuno con le proprie aspirazioni e i propri problemi. Il pullman deve passare per un ponte ancora parzialmente in costruzione, con un piccolo cantiere attivo. Mentre percorre lentamente il trafficatissimo ponte, Sam ha una visione a occhi aperti su una gigantesca catastrofe che porta tutti alla morte. Si riscuote: capisce che qualcosa non va e, approfittando di una breve sosta, scende frettolosamente dal pullman consigliando a tutti di fare altrettanto se non vogliono morire. C’è chi gli dà retta e chi lo segue per farlo ragionare: quelli che per qualunque motivo scendono dal pullman sono i soli a salvarsi dal crollo del ponte. Ma la morte non vuole che il suo disegno imperscrutabile venga alterato e si mette al lavoro.
La struttura è quella ormai ferrea della serie, con il grande disastro iniziale a segnare il destino di quelli che pensano d’essere scampati alla morte. Come in uno slasher, la differenza non è data dalla vicenda in sé, ma dalla fantasia con cui gli elementi che la compongono vengono ideati, oltre che dal ritmo narrativo che, se sufficientemente sostenuto, può produrre suspense anche in presenza di un’inevitabile prevedibilità di fondo. Quello che conta, in sostanza, sono le modalità con cui le morti avvengono. Questo quinto episodio - che come il precedente si avvale del 3D per immergere lo spettatore nel cuore della vicenda - si presenta tra i migliori della serie, pur con tutti i limiti imposti dalla poca malleabilità della struttura. Il disastro di partenza è costruito bene, in un crescendo calzante di coincidenze negative che si fanno beffe degli sforzi di chi cerca di salvarsi. Le morti susseguenti sono studiate in modo altrettanto convincente, insistendo sui dettagli per sostenere la tensione: si sa che qualcosa accadrà, ma non si sa quando né come, mentre la concatenazione delle casualità si espande allo spasimo in attesa di deflagrare in modo sanguinoso e letale. La prima morte - quella della ginnasta - è esemplare per crudeltà e sofisticazione. Non tutte le morti sono ugualmente fantasiose, ma tutte hanno qualche guizzo bizzarro. Il gioco sottile è però anche quello sulle aspettative dello spettatore, non facendo talvolta accadere nulla quando sembra che invece debba succedere di tutto.
I temi che il film tocca sono quelli tipici della serie, ma conservano la loro pregnanza: la colpa di essere vivi quando gli altri sono morti, l’ineluttabilità del destino, la sensazione che la vita sia solo un gioco crudele e che le persone siano misere pedine mosse da qualcosa di imperscrutabilmente futile. Il finale percorre poi una strada in parte diversa e termina con un simpatico colpo di scena autoreferenziale di buona efficacia.
Gli effetti speciali sono all’altezza e danno la credibilità necessaria a questo nuovo tumultuoso viaggio sulle montagne russe del destino e della morte. Steven Quale li maneggia con capacità: ha fatto da supervisore agli effetti speciali visuali di Avatar (oltre ad aver collaborato con James Cameron in vari ruoli per diversi dei suoi film) e quindi se ne intende. Come regista è al suo esordio sul grande schermo, dopo un accettabile film catastrofico televisivo, Inferno di fuoco. Il cast è funzionale, niente di più ma anche niente di meno. Tony Todd, icona dell’horror dai tempi del remake di La notte dei morti viventi, è una presenza quasi costante nella serie e riprende qui il suo piccolo ma significativo ruolo di un coroner che sa molto di più di quanto sarebbe logico.